Mascherine…i conti non tornano
La difficile impresa del Governo Conte di voler coniugare l’esigenza pubblica con le logiche del mercato.
La solenne promessa televisiva del capo del governo avrebbe dovuto servire a tranquillizzare le preoccupazioni dei consumatori.
Il genere, sempre più di prima necessità, rappresenta ormai una voce di spesa non indifferente per le famiglie italiane.
Al prezzo medio di 1,50 euro, consumando una mascherina ogni due giorni, una famiglia media di 4 persone avrà una spesa di circa 1.000,00 euro annui. Divenendo obbligatorio indossarle, la spesa non sarà affatto voluttuaria ma necessaria.
Ecco allora la presunta svolta del governo, mascherine per tutti a 50 centesimi di euro. L’annuncio sarebbe importante se solo avesse l’opportunità di tradursi in realtà.
L’Avv. Conte dovrebbe però aver compreso, ormai, che l’economia non funziona così.
Chiunque commerci in mascherine farà i suoi calcoli. Di certo i fornitori gliele forniranno a un certo prezzo, e a quel prezzo egli aggiungerà la quota di margine commerciale, nonché di costi generali da attribuire. Se il prezzo al pubblico, eventualmente imposto per legge, dovesse risultare inferiore a quel risultato algebrico, al commerciante mai converrà occuparsi di mascherine. E l’effetto sarà l’introvabilità del prodotto, perché nessuno avrà convenienza a commercializzarlo.
E allora, a meno che il Presidente abbia pensato a una operazione di nazionalizzazione della produzione di mascherine, non si vede quale probabilità di riuscita avrebbe l’annuncio a reti unificate.
L’imposizione di un monopolio statale sulle mascherine, sarebbe di certo un atto singolare. Occorrerebbe predisporre società pubbliche di produzione (o quantomeno di commercio, alla stregua del monopolio dei tabacchi), che dovrebbero fornire il prodotto a prezzi calmierati. Resterebbe a quel punto da convincere l’apparato commerciale che la differenza tra 0,50cent. e il prezzo di acquisto all’ingrosso, rappresenti un margine sufficiente. E qui si ritornerebbe alla valutazione del singolo commerciante.
Viceversa si dovrebbe prevedere un rimborso statale da conferire all’operatore commerciale, che compensi la differenza tra il prezzo commerciale equo e conveniente per l’operatore, e il prezzo imposto di 0,50cent. Una soluzione un po’ difficile da realizzare sia per i costi, sia per le note difficoltà di incasso dei crediti verso la Pubblica Amministrazione.
Calcolando a 1,50 euro il prezzo richiesto a livello commerciale (di cui 1 euro a carico dello Stato e 50 centesimi a carico dei cittadini), vi sarebbe un costo per lo Stato di 25 milioni di euro al giorno (sempre immaginando un consumo di una mascherina ogni due giorni per 50 milioni di cittadini). Il che equivale a oltre 9 miliardi di euro all’anno.
Nei giorni scorsi il Commissario Arcuri ha riferito che a tale prezzo lo Stato ha concluso accordi per 10 milioni di mascherine a settimana. Una quantità del tutto insufficiente, in verità, poiché 50 milioni di abitanti avrebbero a disposizione una mascherina ogni 5 settimane (!!!).
Resta la soluzione più pasticciata, produzione e commercio entrambe funzioni svolte dallo Stato.
Si immaginino grandi partite di mascherine prodotte da fabbriche statali, trasportate giornalmente dalle fabbriche suddette verso le ASL, e cittadini in fila per acquistarle a 0,50cent.
Uno scenario simile a una sorta di “click day” delle mascherine, per intenderci, di cui francamente abbiamo poco bisogno.