Infortunio da Covid-19 e responsabilità del datore di lavoro: l’INAIL chiarisce
Preoccupazione e perplessità sulle responsabilità di un contagio da Covid-19 sul posto di lavoro. L’INAIL ha fornito chiarimenti e rassicurato i datori di lavoro.
Successivamente all’entrata in vigore del Decreto Cura Italia, molta preoccupazione aveva destato la circostanza che si potessero profilare elementi di responsabilità civile e penale a carico del datore di lavoro in caso di contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro con conseguente avvio di processi penali o civili a loro carico, una preoccupazione che, in attesa di una norma che chiarisca la portata della questione, è stata parzialmente placata dall’intervento dell’INAIL che ha fornito chiarimenti e rassicurato i datori di lavoro.
Merita dunque particolare attenzione la circolare n. 22 pubblicata dall’INAIL il 20 maggio 2020, nella quale viene precisa come il D.L. 18/2020, meglio conosciuto come decreto Cura Italia, all’art. 42 comma 2 chiarisce che per l’infezione da SARS-Cov-2, «come accade per tutte le infezioni da agenti biologici se contratte in occasione di lavoro, è tutelata dall’Inail quale infortunio sul lavoro e ciò anche nella situazione eccezionale di pandemia causata da un diffuso rischio di contagio in tutta la popolazione. Si tratta della riaffermazione di principi vigenti da decenni. Le patologie infettive (vale per il Covid-19, così come, per esempio, per l’epatite, la brucellosi, l’Aids e il tetano) contratte in occasione di lavoro – si legge ancora nel documento – sono da sempre, infatti, inquadrate e trattate come infortunio sul lavoro poiché la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, anche quando i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo».
Sul punto, tuttavia, occorre fare delle osservazioni in quanto se è pur vero che l’infezione da Covid 19 viene affiancata e paragonata ad altre patologie infettive, rimane il fatto, indiscusso, che la stessa abbia caratteristiche peculiari tali da contraddistinguersi rispetto ad altre infezioni morbose e parassitarie, non per le caratteristiche intrinseche del contagio o dell’attività virulenta dell’agente patogeno, bensì per il contesto pandemico ed universale nel quale il contagio si colloca. Tale contesto pandemico rende praticamente impossibile stabilire con certezza se la malattia sia stata contratta nell’ambiente lavorativo o sociale/familiare.
Detto ciò, il decreto Cura Italia, nel precitato articolo dispone altresì che: “ l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria (ovviamente sempre che il contagio sia riconducibile all’attività lavorativa), con la conseguente astensione dal lavoro». Ed ancora «è stato espressamente previsto che gli oneri degli eventi infortunistici del contagio non incidono sull’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, ma sono posti a carico della gestione assicurativa nel suo complesso, a tariffa immutata, e quindi non comportano maggiori oneri per le imprese».
Nell’esame di detta disposizione l’INAIL, nella propria circolare, osserva come: “la scelta operata con il citato articolo 42 è stata quella dell’esclusione totale di qualsiasi incidenza degli infortuni da COVID-19 in occasione di lavoro sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro, ciò in quanto tali eventi sono stati a priori ritenuti frutto di fattori di rischio non direttamente e pienamente controllabili dal datore di lavoro al pari degli infortuni in itinere. In tali ultime fattispecie, infatti, l’Istituto riconosce la tutela assicurativa al lavoratore infortunato nel tragitto casa-lavoro e viceversa, ma al datore di lavoro non viene imputata alcuna conseguenza per l’evento infortunistico».
Preme osservare che ancor prima che giungesse il chiarimento ad opera dell’INAIL, anche il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, aveva comunicato che sulla questione era allo studio una norma per chiarire in maniera definitiva la responsabilità dei contagi, in quanto l’interpretazione dell’articolo 42 del decreto Cura Italia innanzi citato, per alcuni, avrebbe aggravato la posizione dei datori, esponendoli maggiormente al rischio di essere ritenuti responsabili per i contagi contratti dal lavoratore in ambiente lavorativo, e da qui la preoccupazione sollevata da molti. Sul punto il ministro ha comunque precisato che: “il mero riconoscimento dell’infortunio sul lavoro non agevola in alcun modo l’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, né crea una presunzione in tal senso”.
Ad ogni modo, il ministro ha assicurato che al fine di superare ogni perplessità e conferire piena certezza al quadro giuridico, è in fase di valutazione e studio un eventuale provvedimento normativo volto a chiarire che il rispetto integrale delle prescrizioni contenute nei protocolli o nelle linee guida o nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, nonché l’adozione ed il mantenimento delle misure ivi previste costituiscono presunzione semplice dell’assolvimento dell’obbligo ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19.
Queste precisazioni sono state chiaramente espresse e riversate anche nella circolare pubblicata dall’INAIL il 20 maggio u.s., in particolare ciò che è stato opportunamente rilevato è che eventuali responsabilità a carico dei datori di lavoro dovranno essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative INAIL.
Cosa importante è che il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico dell’accusa (e dell’eventuale parte civile costituita). E neanche in sede civile, il riconoscimento della tutela infortunistica, rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario affinché si possa parlare di responsabilità del datore di lavoro che vi sia l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.
Senza scendere nel dettaglio, basti osservare sul punto che al datore di lavoro potrebbe essere sufficiente dimostrare di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge per escludere in capo al medesimo ogni responsabilità. Peraltro, l’insidiosità e modalità del contagio, affiancata alla mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro – prescrizioni in continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico – rendono estremamente difficile configurare una qualche responsabilità civile e/o penale in capo ai datori di lavoro.
Le conclusioni cui giunge l’INAIL, fanno timidamente tirare un sospiro di sollievo alle imprese italiane, già alle prese con la difficile congiuntura economica, che chiedevano a gran voce chiarimenti sulle possibili implicazioni sul piano civile e penale derivanti dall’eventuale assunzione di responsabilità del contagio da Covid-19 di un loro dipendente.