Il rischio di “liquidity crunch” alla luce dell’emergenza Covid
L’attuale situazione economica sta comportando inadempimenti alle obbligazioni assunte. Panoramica sulla legislazione in materia di omessi e/o ritardati pagamenti.
La pandemia da Covid-19 ha chiaramente aperto uno scenario del tutto eccezionale dove le misure di contenimento del contagio hanno completamente paralizzato il mercato con conseguenziale crollo del fatturato e degli incassi, ciò ha determinato una oggettiva contrazione della liquidità del sistema che ha messo a dura prova imprese e soggetti privati, costretti a sospendere i pagamenti ai propri fornitori, con inevitabile “inadempimento” alle proprie obbligazioni.
Questo stato di “liquidity crunch” potrebbe portare molte aziende persino a cessare l’attività o addirittura a fallire, generando un livello di disoccupazione incontrollabile, mai sperimentato prima; il Governo, tuttavia, onde scongiurare tale epilogo, è intervenuto con provvedimenti mirati ad erogare finanziamenti alle imprese, ai lavoratori e alle famiglie.
Ebbene, in tale eccezionale contesto economico giuridico, occorre porsi un quesito, ovvero, se detta situazione eccezionale accompagnata dai “divieti” imposti dai vari DPCM adottati, possano rappresentare un “esimente” al mancato e/o ritardato adempimento delle obbligazioni in scadenza o avere altro rilievo giuridico in ambito contrattuale.
Sul punto particolare importanza riveste l’art. 91 del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 rubricato: “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”, il quale prevede che, all’articolo 3 del Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: 6-bis: Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.“.
L’art. 1218 c.c. citato riguarda la responsabilità del debitore e prescrive che: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.”
Mentre, l’art. 1223 si occupa del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.
Se ci si sofferma al senso letterale della norma la stessa sembrerebbe assicurare al debitore impossibilitato a far fronte ai propri obblighi, una tutela a priori, indipendentemente dalla natura dell’inadempimento, semplicemente giustificata dal rispetto delle normative sul contenimento del Covid-19, circostanza questa che potrebbe contrastare con le altre previsioni vigenti nel nostro ordinamento, e certamente oggetto di futuri interventi.
Occorre in primo luogo chiarire che questa sorta di giustificazione, detta “esimente”, non opera automaticamente ma, ponendosi all’interno di un contratto fra due parti private, deve essere come tale accettata dalla parte adempiente, la quale potrà al contrario richiedere il pagamento ritenendo che l’esimente non sia applicabile al rapporto contrattuale in essere.
Del resto, in tema di inadempimento delle obbligazioni, l’inadempimento è ritenuto incolpevole quando ricorrono circostanze obiettivamente apprezzabili, idonee a fare escludere la colpa in capo al debitore tanto da non potersi pronunciare né la risoluzione del contratto né la condanna dell’inadempiente al risarcimento del danno, tuttavia, l’onere della prova grava sempre sul debitore e consiste nella prova dell’esaurimento di tutte le possibilità di adempiere secondo l’ordinaria diligenza.
In altre parole, la misura di contenimento potrà esimere da responsabilità il debitore, solo nel caso in cui abbia costituito impedimento all’adempimento non superabile con l’ordinaria diligenza.
Appare comunque chiaro che l’onere della prova per il debitore si profili come semplificato qualora venga dimostrato che l’inadempimento è maturato nel contesto dell’emergenza e per necessità del rispetto delle norme di contenimento.
In ogni caso, deve sussistere il nesso di causalità tra la misura di contenimento della pandemia che si è dovuto rispettare e l’impossibilità ad adempiere; nesso causale che resta comunque a carico del debitore.
L’art 91 del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 – quale norma speciale che specifica e rafforza norme generali già contenute nell’ordinamento codicistico – rende giustificabile e scusabile il ritardato o mancato pagamento a condizione che questo sia conseguenza delle misure autoritative per il contenimento dell’epidemia come, ad esempio, nel caso in cui il Decreto abbia imposto al soggetto la chiusura della propria attività lavorativa. In questa ottica, la situazione straordinaria ed imprevedibile che si è venuta a creare può essere vista come campo di applicazione di numerosi istituti in tema di obbligazioni e contratti anche in considerazione del principio di buona fede e, ove possibile, anche in un’ottica costituzionalmente orientata di solidarietà sociale, in un delicato bilanciamento di interessi pubblici e privati che dovrà però evitare l’effetto domino del “liquidity crunch”.
Occorrerà pertanto valutare, caso per caso, il possibile inadempimento contrattuale cui ci si espone in caso di mancato pagamento, in particolare, con riferimento all’attività esercitata, alla sussistenza o meno delle condizioni necessarie per invocare il predetto esimente avvalendosi in ogni caso dei propri consulenti che con serietà e professionalità, valuteranno quali siano le migliori azioni da intraprendere per la tutela dei propri interessi, consapevoli che il quadro normativo sia in continuo cambiamento e non tutte le attività sono uguali.