I rischi per le Banche nel concedere i prestiti alle aziende
“L’atto d’amore” chiesto dal Governo alle banche, in questa fase delicata per l’erogazione di prestiti alle imprese in difficoltà per l’emergenza Covid-19, rischia di rimanere inascoltato.
Fa discutere l’atteggiamento del governo di fronte alla crisi economica che attanaglierà l’Italia dopo le chiusure forzate delle attività commerciali e industriali.
Annunci formidabili ma, di fatto, aiuti col contagocce.
Tra tutte le misure annunciate danno da pensare soprattutto i provvedimenti relativi ai finanziamenti alle imprese.
Le banche sono organismi privati. Ragionano, e devono farlo, secondo la logica del profitto. Devono farlo economicamente, perché gli Istituti Bancari sono di proprietà di soggetti privati che investono nelle attività più profittevoli. Devono farlo giuridicamente: penalmente poiché gli eventuali dissesti vengono giudicati in relazione alle diligenze usate dagli amministratori, e civilmente perché le azioni di responsabilità verso amministratori che non tutelano il patrimonio sono dietro l’angolo.
Imporre le erogazioni per legge non è giuridicamente possibile, e quindi, se le cose sono queste, c’è un solo modo per coinvolgere le banche nell’operazione liquidità: quello di renderla conveniente.
Analizzando l’operazione nel suo insieme, tutto si può riscontrare fuorché la convenienza.
Il tasso applicato deve essere necessariamente modesto, anche se il rischio di insolvenza è nullo per via della garanzia pubblica, ma questo non rende certo tranquille le banche circa un rapido rimborso in caso di inadempienza da parte di alcuni clienti. Ben conosciamo tutti le condizioni delle finanze pubbliche e i ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. E non è dato, inoltre, conoscere il tasso di interesse applicabile sui ritardi da insolvenza rispetto ai rimborsi delle società pubbliche di garanzia. Il tasso legale oggi è dello 0,05%.
L’unico motivo che oggi rende appetibile l’operazione potrebbe essere la sostituzione della garanzia privata eventualmente deteriorata su prestiti preesistenti, con la garanzia pubblica.
Ma sarebbe un suicidio per lo Stato ed inutile per le aziende che non avrebbero comunque le risorse per ripartire. Accollarsi le insolvenze dei privati, senza risolvere alcunché a favore delle aziende, che si vedrebbero semplicemente accreditare finanze, immediatamente utilizzate per rimborsare i vecchi prestiti senza alcuna nuova disponibilità, non sarebbe di giovamento a nessuno.
La situazione potrebbe cambiare, in termini di convenienza, se alla garanzia pubblica si accompagnasse un contributo in conto interessi, che renderebbe per i conti economici delle banche molto più opportuna l’operazione.
Il timore oltre che il rischio, anche molto forte, è che non sia stata una idea formidabile.
L’atto d’amore richiesto con tutta probabilità non ci sarà.